di Valsaviore

MARIA BARBARA BIONIDI- testimone

SE RIPENSO A QUEI GIORNI….

“A dodici anni e mezzo la mamma decise di mandarmi a vivere nel Sud d’Italia da una zia…e durante qui lunghi quattro anni i contatti con i miei cari avvenivano attraverso delle letterine che ci scrivevamo di tanto in tanto, ma nei suoi scritti la mamma non mi raccontava mai di quello che era stava succedendo a livello politico nel nostro paesino, men che meno di guerra e Resistenza. Così quando tornai a casa nell’aprile 1944, mi ritrovai a vivere in un mondo a me sconosciuto, costretta, di colpo, a fare i conti con la guerra. C’erano parole del tutto nuove come «coprifuoco», «rastrellamenti», «sbindacc», «spie» e dalle mie amiche sono stata istruita su cosa potevo dire e cosa dovevo tacere. Ma soprattutto, iniziai a provare emozioni intense e forti come la paura, il terrore e l’ansia, le quali mi accompagnarono fino alla fine della guerra e che tutt’ora rivivo se ripenso a quel periodo…

Il giorno dell’incendio, come ogni volta che mi ritrovavo a vivere l’arrivo dei fascisti e dei tedeschi annunciato dalla parola d’ordine «i rìa…i rìa i sbindacc», il terrore e la paura si impadronirono di me e presi a corre sulla strada scappando…e non pensavo ad altro che a mettermi in salvo, a nascondermi, senza preoccuparmi degli altri. Avevo sentito di donne che erano state brutalmente violentate e la cosa mi metteva ancor più di paura; inoltre vivevo nel pensiero angoscioso che potesse succedere qualcosa al mio Pì, il partigiano Casalini Bortolo. Dopo l’incendio, divisi le mie cose personali, i miei vestiti e pure le lenzuola con le mie amiche del cuore, che non avevano più nulla, erano rimaste senza casa e senza nessun’altro oggetto caro contenuto in essa.

A quel tempo noi ragazzi e ragazze eravamo ingenui, sapevamo poche cose e non eravamo per niente «svegli»; non come adesso che a diciotto anni sanno fare e brigare con spavalderia e sicurezza. A loro dico questo, affinché le mie parole non provochino risate di scherno nella convinzione che quanto ho raccontato sia inventato o non sia stato così brutto da vivere: se dovessimo tornare in guerra, non la potrei sopportare, piuttosto che rivivere tutto ciò, preferisco la morte”.

Maria Barbara Biondi

SE RIPENSO A QUEI GIORNI….

“A dodici anni e mezzo la mamma decise di mandarmi a vivere nel Sud d’Italia da una zia…e durante qui lunghi quattro anni i contatti con i miei cari avvenivano attraverso delle letterine che ci scrivevamo di tanto in tanto, ma nei suoi scritti la mamma non mi raccontava mai di quello che era stava succedendo a livello politico nel nostro paesino, men che meno di guerra e Resistenza. Così quando tornai a casa nell’aprile 1944, mi ritrovai a vivere in un mondo a me sconosciuto, costretta, di colpo, a fare i conti con la guerra. C’erano parole del tutto nuove come «coprifuoco», «rastrellamenti», «sbindacc», «spie» e dalle mie amiche sono stata istruita su cosa potevo dire e cosa dovevo tacere. Ma soprattutto, iniziai a provare emozioni intense e forti come la paura, il terrore e l’ansia, le quali mi accompagnarono fino alla fine della guerra e che tutt’ora rivivo se ripenso a quel periodo…

Il giorno dell’incendio, come ogni volta che mi ritrovavo a vivere l’arrivo dei fascisti e dei tedeschi annunciato dalla parola d’ordine «i rìa…i rìa i sbindacc», il terrore e la paura si impadronirono di me e presi a corre sulla strada scappando…e non pensavo ad altro che a mettermi in salvo, a nascondermi, senza preoccuparmi degli altri. Avevo sentito di donne che erano state brutalmente violentate e la cosa mi metteva ancor più di paura; inoltre vivevo nel pensiero angoscioso che potesse succedere qualcosa al mio Pì, il partigiano Casalini Bortolo. Dopo l’incendio, divisi le mie cose personali, i miei vestiti e pure le lenzuola con le mie amiche del cuore, che non avevano più nulla, erano rimaste senza casa e senza nessun’altro oggetto caro contenuto in essa.

A quel tempo noi ragazzi e ragazze eravamo ingenui, sapevamo poche cose e non eravamo per niente «svegli»; non come adesso che a diciotto anni sanno fare e brigare con spavalderia e sicurezza. A loro dico questo, affinché le mie parole non provochino risate di scherno nella convinzione che quanto ho raccontato sia inventato o non sia stato così brutto da vivere: se dovessimo tornare in guerra, non la potrei sopportare, piuttosto che rivivere tutto ciò, preferisco la morte”.

Maria Barbara Biondi

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