di Valsaviore

RACCONTI DI DONNE NELLA RESISTENZA- VOLUME 1, Ed. 2019 Museo della Resistenza di Valsaviore

INTRODUZIONE

“Non illudiamoci.. Non fu una scelta facile. Allattati e influenzati dal fascismo i nostri genitori, nonni, bisnonni avevano in gran parte creduto per vent’anni alla balle raccontate da Mussolini: l’Italia prima di tutto e soprattutto (i tedeschi a loro volta ripetevano all’unisono “Deutshland Uber Alles!), la superiorità della stirpe italiana sulle altre, l’Impero, le Colonie, l’obbedienza cieca e assoluta, faccetta Nera e via cantando, Avevano persino accettato con una certa indifferenza le leggi razziali del ’38.

Stare con la Rsi dopo l’8 settembre 1943 era comodo.. Significava avere cibo, armi, vestiti, un tetto e un’organizzazione. Non era poco per un popolo che aveva ancora qualche difficoltà a mettere insieme il pranzo con la cena e che non aveva riferimenti certi. Una nuova classe dirigente non esisteva. quella degli anni venti era stata decimata dalla dittatura usando carcere e confino. Ma era stato l’ingresso in guerra, fortemente voluto dal regime, e l’invio dei giovani al fronte che avevano aperto gli occhi e avevano risvegliato molti ragazzi dai sonni della ragione. L’uomo forte al potere aveva affascinato uomini e donne. Non possiamo nasconderlo.  Esiste ormai sull’argomento una vasta letteratura. Migliaia di testimonianze. citiamo solo due opere recentissime: Fascismo anno zero di Mimmo Franzinelli e M. Il figlio del secolo di Antonio Scurati.

Maria Barbara Biondi nell’intervista lo ammette: “A quel tempo noi ragazze e ragazzi eravamo ingenui, sapevamo poche cose e non eravamo per niente “svegli”; non come adesso che a diciotto anni sanno fare e brigare con spavalderia e sicurezza”.

Fu la guerra a cambiare le coscienze dopo che le famiglie avevano sofferto immani inutili dolorosissimi sacrifici. Succede così anche nel presente. difficile capire le cose se non si picchia la testa contro il muro. Sono stati quindi i soldati scappati dai vari fronti aperti dal Duce-Truce (Francia, Yugoslavia, Grecia, ecc.) o sopravvissuti alla ritirata di Russia a portare il nuovo evangelo (buona novella) nei nostri paesi e in Italia: basta con la guerra. E fu abbastanza facile convincere le amiche, le morose, le mogli, le madri che portavano permanentemente lunghe gonne nere a testimonianza dei lutti subiti: Basta con la guerra. Lo dice bene Enrichetta Gozzi: “La mia famiglia era composta da papà Innocenzo Gozzi e mamma Martina Bazzana, che si sposarono nel 1905 e con me eravamo 8 fratelli. Come lavoro inizialmente mio papà fece lo scalpellino e l’inverno il contadino, poi nel 1914 emigrò in America (Argentina) in cerca di lavoro, avendo già al tempo 5 figli da crescere.: ma non fece fortuna e tornò a casa dopo 7 anni, più povero di prima!”.

Quando arrivarono a casa i soldati lasciati senz’ordini all’8 settembre non si poteva stare fermi: “In famiglia si doveva scegliere da che parte stare: o ribellarsi e diventare partigiani, oppure dividersi e stare con i fascisti. Noi abbiamo scelto la via della libertà, che però ci è costata molto cara. Eravamo tutti uniti e con la stessa idea. Io portavo ai partigiani da mangiare,  a volte andavo fino a Edolo a comperare sale, zucchero e sigarette e soprattutto per avere informazioni, che poi passavo a Bigio (Romelli, vicecomandante della 54a Brigata Garibaldi) e lui mi consegnava dei biglietti da portare in brigata”.

Non fu una passeggiata. Se all’inizio la Resistenza fu soprattutto renitenza, rifiuto delle armi e dell’aiuto al dittatore e all’oppressore tedesco, poi dovette diventare rapidamente, per poter sopravvivere, lotta con le armi un pugno per difendersi dagli obblighi di presentarsi e per far cessare la dittatura.

I prezzi pagati per la ribellione ai fautori del disastro europeo e mondiale furono pesantissimi: “Mio padre morì 7 mesi dopo di stenti per il lavoro forzato, il 15 novembre 1944, a Mauthausen (Germania). Quando anni dopo (…) sono stata a visitare il campo di concentramento di Mauthausen ho visto le baracche e, mentre stavo lì, cercavo attentamente per vedere se trovavo traccia di lui, un nome, qualcosa… Ho visto la scala della morte, dove i prigionieri del campo dopo essere stati caricati di pesanti sassi, dovevano scendere e risalire. Ho portato al mio ritorno un sasso di ricordo e della polvere presa dalla fossa comune, perchè di mio padre non ho trovato nulla e facilmente il suo corpo è finito nel forno crematorio”. (Enrichetta Gozzi)

[…]

Giancarlo Maculotti

INTRODUZIONE

“Non illudiamoci.. Non fu una scelta facile. Allattati e influenzati dal fascismo i nostri genitori, nonni, bisnonni avevano in gran parte creduto per vent’anni alla balle raccontate da Mussolini: l’Italia prima di tutto e soprattutto (i tedeschi a loro volta ripetevano all’unisono “Deutshland Uber Alles!), la superiorità della stirpe italiana sulle altre, l’Impero, le Colonie, l’obbedienza cieca e assoluta, faccetta Nera e via cantando, Avevano persino accettato con una certa indifferenza le leggi razziali del ’38.

Stare con la Rsi dopo l’8 settembre 1943 era comodo.. Significava avere cibo, armi, vestiti, un tetto e un’organizzazione. Non era poco per un popolo che aveva ancora qualche difficoltà a mettere insieme il pranzo con la cena e che non aveva riferimenti certi. Una nuova classe dirigente non esisteva. quella degli anni venti era stata decimata dalla dittatura usando carcere e confino. Ma era stato l’ingresso in guerra, fortemente voluto dal regime, e l’invio dei giovani al fronte che avevano aperto gli occhi e avevano risvegliato molti ragazzi dai sonni della ragione. L’uomo forte al potere aveva affascinato uomini e donne. Non possiamo nasconderlo.  Esiste ormai sull’argomento una vasta letteratura. Migliaia di testimonianze. citiamo solo due opere recentissime: Fascismo anno zero di Mimmo Franzinelli e M. Il figlio del secolo di Antonio Scurati.

Maria Barbara Biondi nell’intervista lo ammette: “A quel tempo noi ragazze e ragazzi eravamo ingenui, sapevamo poche cose e non eravamo per niente “svegli”; non come adesso che a diciotto anni sanno fare e brigare con spavalderia e sicurezza”.

Fu la guerra a cambiare le coscienze dopo che le famiglie avevano sofferto immani inutili dolorosissimi sacrifici. Succede così anche nel presente. difficile capire le cose se non si picchia la testa contro il muro. Sono stati quindi i soldati scappati dai vari fronti aperti dal Duce-Truce (Francia, Yugoslavia, Grecia, ecc.) o sopravvissuti alla ritirata di Russia a portare il nuovo evangelo (buona novella) nei nostri paesi e in Italia: basta con la guerra. E fu abbastanza facile convincere le amiche, le morose, le mogli, le madri che portavano permanentemente lunghe gonne nere a testimonianza dei lutti subiti: Basta con la guerra. Lo dice bene Enrichetta Gozzi: “La mia famiglia era composta da papà Innocenzo Gozzi e mamma Martina Bazzana, che si sposarono nel 1905 e con me eravamo 8 fratelli. Come lavoro inizialmente mio papà fece lo scalpellino e l’inverno il contadino, poi nel 1914 emigrò in America (Argentina) in cerca di lavoro, avendo già al tempo 5 figli da crescere.: ma non fece fortuna e tornò a casa dopo 7 anni, più povero di prima!”.

Quando arrivarono a casa i soldati lasciati senz’ordini all’8 settembre non si poteva stare fermi: “In famiglia si doveva scegliere da che parte stare: o ribellarsi e diventare partigiani, oppure dividersi e stare con i fascisti. Noi abbiamo scelto la via della libertà, che però ci è costata molto cara. Eravamo tutti uniti e con la stessa idea. Io portavo ai partigiani da mangiare,  a volte andavo fino a Edolo a comperare sale, zucchero e sigarette e soprattutto per avere informazioni, che poi passavo a Bigio (Romelli, vicecomandante della 54a Brigata Garibaldi) e lui mi consegnava dei biglietti da portare in brigata”.

Non fu una passeggiata. Se all’inizio la Resistenza fu soprattutto renitenza, rifiuto delle armi e dell’aiuto al dittatore e all’oppressore tedesco, poi dovette diventare rapidamente, per poter sopravvivere, lotta con le armi un pugno per difendersi dagli obblighi di presentarsi e per far cessare la dittatura.

I prezzi pagati per la ribellione ai fautori del disastro europeo e mondiale furono pesantissimi: “Mio padre morì 7 mesi dopo di stenti per il lavoro forzato, il 15 novembre 1944, a Mauthausen (Germania). Quando anni dopo (…) sono stata a visitare il campo di concentramento di Mauthausen ho visto le baracche e, mentre stavo lì, cercavo attentamente per vedere se trovavo traccia di lui, un nome, qualcosa… Ho visto la scala della morte, dove i prigionieri del campo dopo essere stati caricati di pesanti sassi, dovevano scendere e risalire. Ho portato al mio ritorno un sasso di ricordo e della polvere presa dalla fossa comune, perchè di mio padre non ho trovato nulla e facilmente il suo corpo è finito nel forno crematorio”. (Enrichetta Gozzi)

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Giancarlo Maculotti

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